Lavoro, dal latino labor, fatica, è un’attività produttiva che l’uomo svolge mediante l’impiego delle proprie energie, fisiche e mentali, per il raggiungimento di uno scopo. Il lavoro, di solito ma non sempre, prevede un compenso per l’attività svolta, principalmente di tipo monetario, ma sono previste anche forme alternative di remunerazione. Il lavoro nobilita l’uomo, e la possibilità di lavorare ed essere adeguatamente remunerati permette di raggiungere una autonomia economica e una libertà di poter scegliere senza dover essere soggetto a chi usa quel lavoro come merce di scambio per il suo potere. Ora, data questa premessa, data l’importanza che riveste il lavoro nella mia opinione (e non solo ovviamente la mia) adesso seguitemi mentre rovesciamo il punto di vista.

E se quelli che un lavoro lo pretendono con le loro azioni limitassero la mia libertà di scegliere?

Mi spiego meglio, umanamente sono vicina a tutti i lavoratori che stanno vivendo questo momento di precarietà (decennale? ventennale?) non sono qui a giudicare dall’alto ma capisco esattamente di cosa stiamo parlando. Ma davvero bloccare l’autostrada è l’unico modo per avere ascolto? Davvero la strada del “disagio” verso i cittadini è l’unica percorribile? Davvero bloccare poveri cristi che vanno a lavoro è il modo di cambiare le cose?

Il mio paese, San Giovanni in Fiore , come è ben noto, ha molte persone che rientrano nella categoria lsu/lpu. Molti sono amici, vicini di casa, conoscenti, forse qualche parente lontano c’è pure, il fenomeno insomma lo conosco.

E se molte vicende politiche del mio paese avessero preso la piega che hanno poi preso perché un certo numero di persone (e di famiglie, e di voti) erano proprio in questo stato precario? Come si fa a contrastare chi vota certi personaggi perché ci sono promesse in questo senso? Perché n precari (+ famiglie) riescono a influenzare la politica locale così pesantamente?
E’ questo uno dei momenti in cui la mia libertà è lesa.

Mi si potrebbe obiettare: eh, ma loro sono le vere vittime. No, non è vero. Non tutti per lo meno.
Non sono più vittime di tutti quelli che faticano per portarsi a casa il pane, non sono più vittime di tutti i calabresi che hanno studiato e lavorano per due lire qui o altrove, non sono più vittime di quelli a cui impediscono di andare a lavorare. Non sono più vittime di me o di te che leggi che magari ti stai barcamenando tra mille cose nella speranza di un futuro migliore,e studi e lavori, e ti dai da fare.

Un altro argomento, che mi impedisce di trovare una giustificazione nell’esistenza di questo fenomeno è il modo con cui si sono costituiti questi gruppi di lavoratori. E mi fa rabbia, perché laddove si potrebbe vedere questa cosa anche come una forma di ammortizzatore sociale, è democratica ed è giusta solo qualora i criteri siano noti, equi, e si consenta a tutti gli aventi diritto di potervi partecipare. Anche io ho usufruito di molte misure che lo Stato ha pensato per aiutare i cittadini: borse di studio, casa dello studente, voucher per la frequenza di corsi, quindi se sono quello che sono e so quello che so è anche grazie a queste forme di supporto, quindi lungi da me criticare l’aspetto sociale della faccenda. Nel caso di molti appartenenti lsu/lpu c’è bisogno di essere uomini di scienza per rintracciare anziché il possesso dei requisiti per diventare lsu, il filo che unisce il tale lavoratore al tale partito/politico.

Per cui, sebbene possa capire e dispiacermi di una situazione dal punto di vista umano, il mio cervello, i miei studi, i miei sforzi e le mie convinzioni, me lo impediscono. Ho visto eccellenti dottori di ricerca andare via, senza che la cosa destasse neanche un minimo di preoccupazione, e poi ho visto autostrade bloccate, viaggi per Cosenza interrotti da manifestanti (i quali prendevano in giro chi sull’autobus verso cosenza c’era per raggiungere il posto di lavoro) autostrade bloccate come oggi.

Con l’amaro in bocca, e una stretta allo stomaco, certe volte mi viene proprio da pensare che non ci evolveremo mai.


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